
Il 7 febbraio 2019, grazie ad un decreto ministeriale (il DM 1419) del MIPAAFT, gli gnocchi di triello vengono inseriti tra i prodotti agroalimentari tradizionali regionali-nazionali.
Gli gnocchi di tritello appartengono alla tradizione culinaria di Valmontone, le loro origini si possono rintracciare già dal primo dopo guerra, nascono in un momento di austerità quando il cibo scarseggiava e ci si nutriva con il poco che si aveva.
Il tritello infatti non è nient’altro che lo scarto del frumento grezzo, è ciò che rimane dopo la rimacinazione. I più fortunati lo utilizzavano come cibo per il bestiame, chi invece non possedeva animali lo impastava con acqua per farne della pasta.
Parliamo quindi di un impasto acqua e farina, senza le uova dato che era considerato uno spreco utilizzarle per gli impasti. Un tipo di pasta povera in tutto e per tutto ecco perché, pur avendo la forma di una fettuccina corta, si chiamano gnocchi: per la mancanza di uova. Il motivo per cui non hanno la forma di uno gnocco ma di una fettuccina corta non è stato mai chiaro, dai racconti popolari sappiamo che ci si voleva illudere di mangiare una fettuccina vera e propria, ma il tipo di farina e la mancanza di uova ovviamente non permetteva la resa, forse ecco perché sono corti e spessi circa 2.5mm.
Gli gnocchi di tritello venivano anche chiamati “gnoccacci neri”, un nome dispregiativo che sottolineava tutte le sue prerogative di un tempo: povertà, scarto delle materie prime, mancanza di altro. Perché neri? La farina di tritello, impastata solo con l’acqua, conferisce alla pasta un colore prima marroncino poi, dopo una prolungata esposizione all’umidità e all’aria, nero. La tradizione vuole che siano conditi un sugo di fagioli, rispettando così le origini umili, ma oggi per lo più si condiscono con un battuto di alici, noci e pecorino.
Nel corso degli anni si sono diffusi anche tra i paesi limitrofi di Valmontone, fino a diventare un piatto tipico della zona dei monti prenestini. Non vi è alcuna attestazione che gli gnocchi di tritello siano nati a Valmontone ma il largo consumo che se ne fa maggiormente in quest’ultimo paese, dai ristoranti tipici, alle sagre, alla vendita cospicua nei negozi di pasta fresca, ci fa pensare che sia proprio questo il loro paese natale o quello che più ha saputo apprezzarli e valorizzarli.
Questo è un prodotto che ad oggi sta avendo un ampio successo data la sua ricchezza di principi nutritivi, possiede una maggior quantità di fibre, proteine, vitamine, grassi, enzimi e una minor quantità di amido, corrispondendo così alle crescenti esigenze di una grande fetta di mercato che predilige cibi a basso indice glicemico. Una pasta quindi di origine povera, semplice e umile, che dopo 100 anni o forse più mantiene il suolo ruolo di prodotto tipico del territorio.
"L’Arte della pasta all’uovo" di Valmontone, come produttrice di filiera degli gnocchi di Tritello, si è impegnata nelle ricerche storiche ed ha seguito l’iter per far sì che questo prodotto potesse essere inserito tra tutti quei prodotti di cui ne deve essere salvaguardata la sopravvivenza e la valorizzazione.L’ Arsial , l’agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio, e il presidente del CNA Stefano Uccella hanno fatto da tramite tra la nostra piccola impresa e il ministero, permettendo di portare lustro ad una tradizione centenaria e alla nostra città.